Capitolo Decimo: In Trappola

D'un tratto, quella conclusione gli era sembrata inevitabile. Era stata l'ultima, inesorabile beffa. Lui era entrato nel Tempo una volta di troppo, aveva sfidato Finge una volta di troppo, aveva corteggiato la fortuna una volta di troppo. Era stato fatale. Nessun altro momento sarebbe stato piu adatto di quello, per la sconfitta.

Era stato Finge a ridere?

E chi, se non lui, lo avrebbe inseguito, spiato, atteso nella stanza accanto, per poi scoppiare a ridere nel momento del trionfo?

Dunque, allora, lui aveva perduto? E proprio perche, in quell'allucinante momento, lui aveva avuto la certezza della sconfitta, non aveva pensato di fuggire di nuovo, o di rifugiarsi nell'Eternita. Aveva preso la decisione di affrontare Finge.

Lo avrebbe ucciso, se fosse stato necessario.

Harlan si era avvicinato alla porta, dietro la quale egli aveva udito la risata, muovendosi in punta di piedi, ma anche con la sicurezza mortale di chi ha deciso di uccidere un avversario. Aveva staccato il dispositivo automatico, e aveva lentamente socchiuso la porta, servendosi del comando manuale. Due millimetri. Quattro. La porta si era mossa silenziosamente.

L'uomo che si era trovato nella stanza accanto gli aveva voltato la schiena. Gli era parsa una figura troppo alta, per essere quella di Finge, e quell'elemento aveva finalmente colpito la mente sovreccitata di Harlan, impedendogli di continuare.

Poi, come se la paralisi che aveva mantenuto immobili i due uomini per qualche istante avesse cominciato a dissiparsi, l'altro si era voltato, con incredibile lentezza.

Harlan non era rimasto dietro la porta ad attendere che l'altro si fosse voltato del tutto. Il profilo dell'altro non era ancora apparso, ma Harlan, soffocando un grido di terrore con quell'ultima parvenza di forza morale che gli era rimasta, si era allontanato dalla porta. Era stata la porta a chiudersi, silenziosamente, riportata nella posizione di partenza dal suo meccanismo; Harlan non l'aveva toccata.

Il Tecnico aveva continuato a indietreggiare. Aveva potuto respirare solo con uno sforzo affannoso, violento. Il cuore aveva cominciato a battergli tumultuosamente in petto, come se avesse voluto sfuggire dal suo corpo.

Se in quella stanza avesse trovato un comitato di ricevimento formato da Finge, da Twissell, e dai membri del Consiglio al completo, Harlan non sarebbe rimasto cosi sconvolto. Cio che gli aveva tolto ogni forza, cio che lo aveva riempito di orrore, non era stato nulla di fisico. Era stato, piuttosto, l'orrore istintivo che egli aveva sempre provato per la natura dell'incidente che gli era capitato.

Aveva meccanicamente raccolto il sacco di plastica, ed era riuscito, dopo avere compiuto due tentativi infruttuosi, a ristabilire la porta sull'Eternita. Aveva varcato quella barriera immateriale, muovendosi come un sonnambulo. Era riuscito a rientrare, chissa come, nel 575°, e di la aveva raggiunto il suo alloggio. Ancora una volta la sua condizione di Tecnico, della quale aveva solo recentemente scoperto l'utilita e l'importanza, lo aveva salvato. I pochi Eterni che aveva incontrato si erano voltati, al suo passaggio, e avevano fissato con ostentazione il pavimento o le pareti.

E questa era stata una vera fortuna, perche Harlan non avrebbe potuto nascondere l'espressione di orrore che gli rendeva irriconoscibile il volto in quel percorso interminabile lungo i corridoi. Ma nessuno lo aveva guardato, e lui aveva ringraziato il Tempo e l'Eternita e la forza cieca che tesseva il Destino.

In realta, lui non aveva riconosciuto l'uomo che si era trovato nella casa di Noys per il svio aspetto, tuttavia ne aveva conosciuto l'identita con spaventosa, terribile certezza.

La prima volta in cui Harlan aveva udito un rumore nella casa, lui, Harlan, aveva riso, e il suono aveva interrotto la sua risata… il suono di qualcosa di pesante che era caduto nella stanza accanto. La seconda volta, qualcuno aveva riso nella stanza accanto e lui, Harlan, aveva lasciato cadere un sacco pieno di libri-film. La prima volta lui, Harlan, si era voltato e aveva visto chiudersi una porta. La seconda volta, lui, Harlan, aveva chiuso una porta, quando lo sconosciuto si era voltato.

Lui aveva incontrato se stesso!

Nello stesso Tempo, e quasi nello stesso posto, lui e l'Harlan di alcuni fisiogiorni prima per poco non si erano trovati faccia a faccia. Lui aveva commesso un lieve errore, nel regolare i comandi, aveva usato un istante nel Tempo che aveva gia usato, e lui, Harlan, aveva visto se stesso, Harlan.

Era ritornato al lavoro con l'ombra dell'orrore nell'anima, e quell'ombra lo aveva accompagnato per giorni e giorni. Si era sentito umiliato, si era giudicato un vile, ma non aveva potuto fare nulla per sottrarsi a quel tenebroso orrore.

Da quel momento, le cose avevano cominciato a precipitare. E lui aveva riversato la sua collera sul Momento Decisivo. Il momento chiave era stato l'istante in cui aveva regolato i comandi della porta sul Tempo, per entrare per l'ultima volta nel 482°, e aveva commesso un errore. Da quel momento tutto era andato nel peggiore dei modi.

Il Mutamento di Realta nel 482° era avvenuto in quel periodo nero, e aveva accentuato la sorda collera e il pessimismo di Harlan. Nelle ultime due settimane egli aveva trovato tre proposte di Mutamenti di Realta che contenevano dei piccoli errori, e aveva scelto la piu opportuna, ma non aveva trovato la forza e la volonta di agire.

Aveva scelto il Mutamento di Realta 2456-2781, V-5, per un certo numero di ottime ragioni. Dei tre casi esaminati, si era trattato di quello piu lontano nel tempo. L'errore era stato sottile, ma significativo per quanto riguardava l'effetto sulle vite umane. C'era stato bisogno semplicemente di un rapido viaggio nel 2456° per scoprire la natura dell'analogo di Noys nella nuova Realta, esercitando un piccolo ricatto.

Ma la recente esperienza gli aveva tolto la determinazione e le forze. La faccenda non gli era sembrata piu cosi semplice. E anche l'opportunita di esporsi al rischio gli era sembrata sproporzionata ai risultati. Una volta scoperta la natura dell'analogo di Noys, che cosa avrebbe potuto fare? Avrebbe potuto mettere Noys al suo posto, come contadina, pescatrice, ramaia, e cosi via. Certo. Ma che ne sarebbe stato, allora, dell'analogo? E dell'eventuale marito, della famiglia, dei figli…

Non aveva pensato a nessuno di questi fattori, prima. Aveva evitato di pensarci. «A ogni giorno basta il suo affanno…» Un'altra espressione del Primitivo.

Ma in quel momento non era stato capace di pensare ad altro.

Cosi era rimasto nella sua stanza, immerso in cupe considerazioni, quando Twissell lo aveva chiamato.

«Harlan, non stai bene?» aveva domandato il vecchio, in tono interrogativo e preoccupato. «Cooper mi ha detto che hai saltato diverse lezioni.»

Harlan aveva cercato di non apparire preoccupato.

«No, Calcolatore Twissell. Sono solo un po' stanco.»

«Be', questo e certamente scusabile, ragazzo mio.» E poi il sorriso sul suo volto, l'onnipresente sorriso del Calcolatore, aveva minacciato per la prima volta di estinguersi completamente. «Hai sentito che il 482° e stato Mutato?»

«Si,» aveva risposto brevemente Harlan.

«Finge mi ha chiamato,» aveva aggiunto Twissell, «E si e raccomandato con me di riferirti che il Mutamento ha avuto un successo completo.»

Harlan aveva scrollato le spalle, e poi si era accorto che gli occhi del Calcolatore lo stavano fissando, imperiosi e penetranti. Si era sentito a disagio.

«Si, Calcolatore?»

«Niente,» aveva detto Twissell, e forse si era trattato del peso della vecchiaia troppo grave sulle sue spalle, ma la sua voce era sembrata incomprensibilmente triste. «Credevo che volessi dirmi qualcosa.»

«No,» aveva risposto Harlan. «Non avevo nulla da dire.»

«Be', allora, ci vediamo domani, all'ora di apertura, nella Sala dei Calcolatori, ragazzo. Ho molte cose da dirti.»

«Si, signore,» aveva risposto Harlan. Era rimasto per diversi minuti a fissare lo schermo vuoto.

Quelle parole erano sembrate quasi una minaccia. Finge aveva chiamato Twissell, dunque. Che cosa gli aveva detto, oltre a quanto Twissell aveva rivelato?

Ma una minaccia esterna era stata l'unica cosa veramente necessaria ad Harlan, in quel momento. Combattere uno stato d'animo era come lottare con un bastone contro le sabbie mobili. Combattere Finge era una cosa completamente diversa. Quel breve colloquio aveva fatto ricordare ad Harlan l'arma in suo possesso, e per la prima volta, dopo molti giorni, aveva recuperato in parte la fiducia in se stesso.

Era stato come se una porta si fosse chiusa, e un'altra si fosse aperta. Harlan si era immerso in una febbrile attivita, dopo l'assoluta apatia dei giorni precedenti. Era andato nel 2456°, e aveva piegato il Sociologo Voy ai suoi desideri, ottenendo la risposta desiderata.

C'era riuscito perfettamente. Aveva ottenuto l'informazione cercata.

E molto di piu. Molto di piu.

Apparentemente, la fiducia viene sempre premiata. C'era un proverbio del suo Secolo natale che diceva, «Stringi con fermezza la rete, e diventera un bastone con il quale potrai battere il tuo nemico.»

In sostanza, Noys non aveva alcun analogo nella nuova Realta. Nessun analogo. Poteva quindi assumere una nuova posizione nella nuova societa nel modo piu discreto e conveniente, oppure poteva rimanere nell'Eternita. Non c'era alcun motivo per negargli la relazione anche in veste ufficiale, se non quello puramente teorico della sua violazione della legge… e lui sapeva fin troppo bene come rendere nulla questa possibilita.

Cosi aveva preso il cronoscafo nel 2456°, ansioso di raggiungere Noys e annunciarle la grande notizia, finalmente inebriato dal successo dopo giorni e giorni trascorsi a rimasticare l'amarezza della sconfitta.

E in quel preciso momento, il cronoscafo si fermo.

Non rallento; si fermo, semplicemente. Se il movimento fosse stato lungo una delle tre dimensioni dello spazio, una fermata cosi brusca avrebbe disintegrato il cronoscafo, fondendo il metallo e uccidendo sull'istante Harlan.

L'arresto brusco, invece, produsse una violenta ondata di nausea ad Harlan, e gli diede una fitta acutissima di dolore.

Quando riusci di nuovo a vedere chiaramente, si volse verso il temporometro, e lo guardo, con occhi ancora annebbiati. La data era: 100.000.

Il numero lo spavento. Era troppo perfetto.

Si volse ai controlli, febbrilmente. Che cosa era successo?

Anche questo lo riempi di paura, perche non riusci a vedere nulla fuori posto. La leva era in posizione. Non c'era alcun corto circuito. Tutti gli indicatori erano nello spazio nero, che indicava i limiti di sicurezza. Non c'era nessun guasto al sistema di energia. La lancetta sottile che indicava il consumo di mega-megacoulomb d'energia rivelava che l'energia veniva consumata costantemente, nella quantita esatta.