«L'intensita delle radiazioni viene allora misurata, e questo permette di determinare il tempo trascorso dall'ampolla sulla montagna; contemporaneamente, sappiamo anche il Secolo nel quale e giunto il cronoscafo, con un margine di approssimazione di due decimali. Il procedimento e semplice. Di conseguenza, sono state lanciate decine di ampolle, seguendo diverse angolazioni e diverse intensita di spinta, e i risultati hanno permesso di stabilire una curva calibrata. La curva e servita a eseguire un controllo, inviando delle ampolle non piu nel Primitivo, ma in diversi Secoli dell'Eternita, nei quali era possibile compiere un'osservazione diretta.

«Naturalmente, ci furono degli insuccessi. Le prime ampolle andarono perdute, fino a quando non capimmo che era necessario tenere conto anche dei minori cambiamenti geologici verificatisi dal Primitivo al 575°. Successivamente, tre ampolle lanciate nel Primitivo non vennero ritrovate nel 575°: probabilmente in questi casi c'era stato un difetto del meccanismo di scarico, e le ampolle erano state sepolte troppo profondamento per venire individuate. Interrompemmo i nostri esperimenti quando il livello delle radiazioni divento cosi alto da farci temere che i Primitivi potessero scoprirle, e domandarsi il motivo dell'esistenza di materiale radioattivo artificiale nella regione. Ma ormai eravamo soddisfatti dei risultati, e siamo certi di poter inviare un uomo in qualsiasi centesimo di Secolo del Primitivo da noi desiderato.» Una breve pausa, e poi, «Segui quello che ti dico, e vero, Cooper?»

«Certo. Ho visto la curva calibrata senza capirne lo scopo, a suo tempo, e adesso e tutto chiaro.»

Ora pero Harlan era interessato. Osservo l'arco graduato, diviso in secoli. Quell'arco scintillante era di porcellana su metallo, e le linee sottili lo dividevano in Secoli, Decimi di Secoli e Centesimi di Secoli. Sotto la porcellana si vedeva scintillare il metallo. Le cifre erano incise in caratteri minuscoli, e, avvicinando il viso all'arco, Harlan riusci a distinguere i Secoli dal 17° al 27°. L'indicatore era fermo sul segno che indicava il 23,17° Secolo.

Aveva visto altri indicatori temporali dello stesso tipo, e quasi meccanicamente impugno la leva di controllo. La leva non si mosse. L'indicatore rimase fisso al suo posto.

Per poco non sobbalzo, quando la voce di Twissell lo chiamo, improvvisamente:

«Tecnico Harlan!»

«Si, Calcolatore?» Grido, e poi ricordo che l'altro non poteva sentire. Si avvicino alla finestra, e fece un segno al Calcolatore.

Twissell gli disse, come se avesse letto i pensieri di Harlan:

«L'indicatore temporale e gia predisposto per una spinta che permettera al cronoscafo di raggiungere il 23,17°. Non e necessario regolarlo. Il tuo unico compito sara quello di immettere l'energia nel momento fisiologico esatto. C'e un cronometro, a sinistra dell'indicatore. Fammi un segno, se lo vedi.»

Harlan chino il capo due volte.

«Raggingera lo zero, muovendosi all'indietro. Quando raggiungera il punto dei meno 15 secondi, dovrai allineare i contatti. E semplice. Capito?

Harlan annui di nuovo.

«La sincronizzazione non e vitale. Potrai farla a meno quattordici, o a meno tredici, o perfino a meno cinque, ma per motivi di sicurezza ti prego di rimanere al di sopra dei dieci secondi. Quando avrai chiuso il contatto, un generatore sincronizzato fara il resto, assicurando che l'ultima spinta di energia si verifichi esattamente al momento zero. Chiaro?»

Harlan annui ancora una volta. Era molto piu chiaro, per lui, di quanto Twissell non avesse detto a parole. Se lui non avesse ultimato l'allineamento prima dei 'meno dieci', l'operazione sarebbe stata effettuata dall'esterno.

Cupamente, Harlan penso: Non ci sara bisogno di interventi esterni.

«Ci rimangono trenta fisiominuti,» disse Twissell. «Cooper e io andiamo a controllare l'equipaggiamento.»

Si allontanarono. La porta si chiuse dietro di loro, e Harlan rimase solo con i comandi, il cronometro (che si stava gia muovendo lentamente a rovescia, verso lo zero)… e la piena, risoluta consapevolezza di cio che doveva essere fatto.

Harlan volse le spalle alla finestra di osservazione. Infilo la mano in tasca, toccando la frusta neuronica che era ancora la, dove l'aveva lasciata. Incredibilmente, attraverso tutto quello che era accaduto, lui aveva conservato la frusta neuronica. Si accorse che le sue mani tremavano. Per tutte quelle ore… nessuno aveva pensato che lui potesse essere armato. E lui aveva conservato l'arma. Aveva conservato l'arma.

Gli ritorno in mente un pensiero che gia aveva formulato: Come Sansone e le colonne del Tempio!

Un angolo della sua mente si domando, angosciato: Quanti Eterni avevano mai sentito parlare di Sansone? Quanti sapevano in quale modo era morto?

Rimanevano solo venticinque minuti. Non sapeva con certezza quanto tempo gli sarebbe stato necessario. Non sapeva neppure se l'idea avrebbe funzionato.

Ma aveva altra scelta? Le sue dita madide di sudore per poco non lasciarono cadere l'arma, mentre tentavano di aprire l'impugnatura.

Comincio a lavorare rapidamente, completamente assorbito da quello che faceva. Tra tutti gli aspetti del suo piano, la possibilita di passare nella non-esistenza era quella che meno occupava la sua mente, e meno la preoccupava.

Quando mancava un minuto, Harlan si mise davanti ai comandi.

Indifferente, distaccato, penso: L'ultimo minuto di vita?

Non vedeva nulla intorno a lui, nulla di quello che avveniva nella sala, solo il movimento retrogrado dell'indicatore rosso che segnava il passare dei secondi.

Meno trenta secondi.

Penso: Non fara male. Non e la morte.

Cerco di pensare soltanto a Noys.

Meno quindici secondi.

Noys!

La mano sinistra di Harlan abbasso un interruttore, verso il punto del contatto. Non troppo in fretta!

Meno dodici secondi.

Contatto!

Ora il generatore automatico avrebbe assunto il controllo delle operazioni. La spinta sarebbe giunta esattamente al momento dello zero. E questo lasciava ad Harlan un'ultima possibilita di azione. Sansone che afferrava le colonne del tempio!

La sua mano destra si mosse. Non guardo la sua mano destra.

Meno cinque secondi.

Noys!

La sua mano destra si mos… ZERO… se di nuovo, spasmodicamente. Non la guardo neppure questa volta.

Era questa la non-esistenza?

Non ancora. Non era ancora la non-esistenza.

Harlan guardo fuori della finestra di osservazione. Non si mosse. Il tempo passava, e lui non se ne accorgeva.

La sala era vuota. Nel punto in cui c'era il gigantesco cronoscafo chiuso non si vedeva nulla. I blocchi di metallo che gli avevano fatto da basamento erano vuoti, e sollevavano nell'aria vuota le loro braccia di ormai inutile forza.

Twissell, che appariva stranamente piccolo e minuto nella sala che era diventata una caverna in attesa, era l'unica cosa che si muoveva, camminando nervosamente su e giu.

Gli occhi di Harlan lo seguirono per qualche istante, poi lo abbandonarono. E poi, senza alcun suono ne alcun movimento, il cronoscafo ritorno nel punto esatto che aveva occupato prima della partenza. Il suo passaggio attraverso il confine tra il passato e il presente non aveva agitato neppure una molecola d'aria.

Twissell era nascosto dalla massa del cronoscafo, ora, ma poi il vecchio giro intorno alla gigantesca sfera, correndo.

Un guizzo della sua mano grinzosa fu sufficiente ad attivare il meccanismo che apriva la porta della sala di comando. Twissell entro come un fulmine, gridando con un'eccitazione quasi lirica:

«E fatta! E fatta! Abbiamo chiuso il circolo!» Non gli rimaneva il fiato per dire altro.

Harlan non rispose.

Twissell guardo fuori della finestra di osservazione, appoggiando le mani sul vetro. Harlan noto le vene bluastre, le innumerevoli rughe, e il tremito che agitava quelle mani. Era come se la sua mente non fosse stata piu in grado di filtrare le cose essenziali da quelle irrilevanti… era come se lui fosse stato solo in grado di osservare, senza discernimento, in maniera completamente casuale e caotica.

Stancamente, penso: Che cosa importa? Nulla ha piu importanza, ormai.

Twissell disse, con voce che ad Harlan apparve lontanissima, e quasi indistinta:

«Adesso posso confessarti di essere stato piu in ansia di quanto non abbia voluto far credere. Una volta, Sennor aveva detto che l'intera faccenda era impossibile. Affermava che sarebbe accaduto qualcosa, per fermare il progetto… Cosa c'e?»

Si era voltato, nell'udire lo strano gemito strozzato di Harlan.

Harlan scosse il capo, riusci a mormorare un «Niente» indistinto, e Twissell non fece altre domande. Continuo a parlare… non tanto ad Harlan, quanto all'aria che lo circondava. Era come se lunghi anni di ansie si stessero finalmente sfogando in parole.

«Sennor era il dubbioso,» disse. «Abbiamo ragionato e discusso con lui. Abbiamo usato la matematica, presentando i risultati di generazioni e generazioni di ricerche che avevano preceduto il nostro lavoro nell'Eternita. Lui respingeva tutte queste argomentazioni, e presentava la sua tesi citando il paradosso dell'uomo che incontra se stesso. L'hai sentito tu stesso, quando ne ha parlato. E il suo argomento preferito.

«Sennor diceva che noi conoscevamo il nostro futuro. Per esempio io, Twissell, sapevo che avrei vissuto, malgrado l'eta molto avanzata, fino al giorno in cui Cooper avrebbe fatto il suo viaggio al di la del Terminale Primo. Conoscevo altri particolari del mio futuro, delle cose che avrei fatto.

«Impossibile, diceva Sennor. La Realta doveva Mutare per correggere questa mia indebita conoscenza del futuro, anche se questo significava che il circolo non si sarebbe mai chiuso, e l'Eternita non sarebbe mai stata stabilita.

«Non so perche continuasse a discutere di queste cose. Forse ne era sinceramente convinto, forse per lui era un gioco intellettuale, forse era semplicemente il desiderio di scuoterci tutti quanti, adottando un punto di vista impopolare. In ogni modo, il progetto e andato avanti, e una parte del memoriale cominciava ad avverarsi. Per esempio, trovammo Cooper, nel Secolo e nella Realta che ci erano stati forniti dal memoriale. La tesi di Sennor veniva distrutta da quel solo fatto, ma lui non si scomponeva per cosi poco, oh, no! Aveva gia trovato altri motivi d'interesse.

«Eppure, eppure…» rise, sommessamente, con una lieve traccia d'imbarazzo, e la sigaretta dimenticata si consumo, fin quasi a scottargli le dita ingiallite, «Vedi, ho sempre avuto una sensazione di disagio, di inquietudine. Qualcosa avrebbe potuto accadere. La Realta nella quale l'Eternita e stata edificata avrebbe potuto cambiare in qualche modo per evitare quello che Sennor definiva un paradosso. Avrebbe dovuto Mutare in una Realta nella quale l'Eternita non fosse mai esistita. A volte, nel buio delle mie ore di riposo, quando non riuscivo a prendere sonno, riuscivo quasi a convincermi che le cose sarebbero andate cosi… e adesso e tutto finito, e posso ridere dei miei timori come dei timori di un vecchio stupido.»