— Oh, che orrore! — gridò Susan dall’altra parte della tavola.

— Questi brutti topolini gli camminano addosso. Via, via, bestiacce — e alzò una mano per farli scappare.

— Aspetta — gridò Lucy, che aveva guardato più attentamente. — Non vedi cosa fanno?

Susan si chinò a osservare meglio.

— Che strano — mormorò. — Sembra che stiano rosicchiando le corde.

— Sembra anche a me — confermò Lucy. — Sono animaletti gentili. Forse non hanno capito che Aslan è morto e credono di far bene. Questi topolini vogliono liberarlo.

Adesso il cielo era veramente più chiaro. Le due sorelle si guardarono in faccia e si accorsero di essere molto pallide. Poi tornarono a guardare i topolini: dozzine e dozzine, forse un centinaio, che si davano un gran daffare con i denti. Alla fine ebbero partita vinta.

A oriente il cielo sbiancava. Le stelle erano scomparse tutte, tranne una, grandissima, che brillava fulgida all’orizzonte. Susan e Lucy rabbrividirono all’aria fresca del mattino. I topolini se ne andarono via. Susan e Lucy tolsero i resti delle corde rosicchiate dal corpo di Aslan e rimasero a contemplare il leone: ora somigliava molto di più a quello che era stato, e via via che la luce si faceva più forte Aslan sembrava riprendere la sua antica espressione di calma e maestosità. Nel bosco alle loro spalle un uccellino fece sentire il suo cinguettio soffocato. Fino a quel momento il silenzio era stato così completo che Susan e Lucy quasi sobbalzarono di spavento, sentendo quel dolce suono. Poi un altro uccello rispose al primo, da più lontano, e un altro ancora. Dopo pochi istanti l’aria echeggiava di mille voci canore.

Ormai l’alba aveva preso il posto della notte.

— Ho un gran freddo — disse Lucy.

— Anch’io — concordò Susan. — Camminiamo un poco.

Si mossero lentamente e arrivarono fino all’orlo del crinale della collina, a est. Anche la grande stella che brillava a oriente era quasi scomparsa. Il paesaggio appariva di color grigio scuro, ma in lontananza c’era una striscia più chiara: il mare. E pian piano il cielo diventava di un rosa sempre più intenso.

Le due sorelle continuarono a camminare avanti e indietro, dall’orlo della collina al corpo di Aslan e viceversa, innumerevoli volte: cercavano di scaldarsi un poco. Si erano fermate a contemplare per un momento il mare e il castello di Cair Paravel, quando la striscia rosa che tingeva l’orizzonte diventò color dell’oro e dove mare e cielo si incontravano apparve il bordo del disco solare.

Fu allora, mentre spuntava il sole, che sentirono dietro di sé un rumore fortissimo, il fragore assordante di un lastrone gigantesco che si spacca.

— Cos’è stato? — chiese Lucy, afferrando intimorita il braccio di Susan.

— Ho… ho… paura a voltarmi — rispose Susan, balbettando. — Dev’essere successo qualcosa di terribile.

— A lui? Gli stanno facendo qualcosa di peggio? — chiese Lucy. — Andiamo a vedere — e si voltò di scatto trascinando con sé anche Susan.

Nella luce del sole nascente tutto sembrava diverso: i colori e le ombre erano mutati a tal punto che in un primo momento non videro la cosa più importante. Poi, sì: la grande Tavola di Pietra si era rotta in due pezzi, lungo una fessura trasversale che andava da parte a parte. E il corpo di Aslan non c’era più.

— Oh, no! — gridarono in coro Susan e Lucy. Corsero verso la grande tavola.

— È terribile — esclamò Lucy, rimettendosi a singhiozzare. — Potevano almeno lasciarci il suo corpo.

— Chi ha fatto una cosa simile? — si chiese Susan, piangendo anche lei. — Cosa significa? C’è un’altra magia?

— Sì — rispose una voce profonda alle loro spalle. — C’è un’altra magia.

Le due bambine si guardarono intorno. Là, splendido nella luce del sole nascente, c’era Aslan. Più grande di come lo avevano visto prima, più nobile, più maestoso. Scuoteva la criniera.

— Aslan! — esclamarono entrambe, fissandolo impaurite e contente al tempo stesso. — Allora non eri morto, caro Aslan? — chiese Lucy.

— Non sono più morto — rispose il leone.

— Non sei… non sei un… — domandò Susan con voce tremante. Non sapeva decidersi a dire la parola "fantasma". Aslan si avvicinò, piegò un poco la testa e le diede una leccatina sulla fronte. Susan sentì il calore del suo fiato e quella specie di profumo che sembrava diffuso intorno a lui.

— Ti sembro un fantasma? — chiese Aslan.

— Oh, no. Sei vivo, sei vivo! — gridò Lucy, e tutt’e due si lanciarono verso di lui, ripresero ad abbracciarlo, accarezzarlo e coprirlo di baci.

— Ma cosa significa? — chiese Susan, quando si furono un po’ calmate.

Aslan rispose: — Significa che la Strega Bianca conosce la Grande Magia, ma ce n’è un’altra più grande che non conosce. Le sue nozioni risalgono all’alba dei tempi: ma se potesse penetrare nelle tenebre profonde e nell’assoluta immobilità che erano prima del tempo, vedrebbe che c’è una magia più grande, un incantesimo diverso. E saprebbe che, quando al posto di un traditore viene immolata una vittima innocente e volontaria, la Tavola di Pietra si spezza e al sorgere del sole la morte stessa torna indietro.

— Oh, è meraviglioso — esclamò Lucy battendo le mani e saltando dalla gioia. — E ora come ti senti, Aslan?

— Sento che mi tornano le forze e, bambine mie, prendetemi se vi riesce!

Così dicendo Aslan le fissava con i grandi occhi lucenti, il corpo percorso da un fremito, e si frustava i fianchi con la lunga coda. Restò così per qualche attimo ancora, poi spiccò un balzo e atterrò dall’altra parte della Tavola di Pietra, oltre le teste di Susan e Lucy. Lucy scoppiò a ridere senza un vero perché e fece l’atto di acchiappare il leone. Aslan saltò di nuovo e la caccia cominciò. Lui correva intorno al grande prato sulla sommità della collina, ora lasciandosi avvicinare al punto che le ragazze quasi potevano toccargli la coda, ora sgusciando via lontano; ripiombava tra loro con una specie di gran tuffo, le ghermiva con le grosse zampe vellutate, le lanciava in aria per riprenderle al volo. Si fermò inaspettatamente e le piccole gli furono addosso, poi tutti e tre rotolarono sull’erbetta in una gran confusione di criniera, capelli, braccia, gambe e zampe. Fu un gioco chiassoso e felice, come si può fare solo nel paese di Narnia, e Lucy non capiva bene se stesse giocando con il grande Aslan dalla voce di tuono o con un affettuoso micione. E la cosa più strana fu che quando si trovarono stesi sul prato, ansanti e allegri tutti e tre, le ragazzine non sentirono più la minima stanchezza, né fame né sete.

— E ora occupiamoci di cose serie — disse infine Aslan. — Tappatevi le orecchie, bambine, perché sento che devo fare un gran ruggito.

Susan e Lucy obbedirono. Il leone spalancò le fauci e assunse un’espressione così terribile che le due ragazze non osarono più guardarlo. Videro invece che gli alberi davanti a lui si piegavano come fuscelli al soffio del vento.

— Dobbiamo fare un lungo viaggio. Meglio che mi montiate in groppa — concluse Aslan.

E si accucciò per permettere alle due ragazzine di salirgli sul dorso coperto di pelliccia calda e dorata. Susan salì per prima e si afferrò alla criniera, Lucy le si mise dietro, cingendola con le braccia intorno alla vita. Aslan si tirò su e con un grande balzo si lanciò per la collina e quindi nel bosco.

Forse la corsa a cavalcioni del leone fu la cosa più bella che capitasse alle sorelle nel regno di Narnia. Siete mai stati in groppa a un cavallo al galoppo? Immaginate qualcosa di simile, ma senza il rumore degli zoccoli che percuotono il terreno, senza il tintinnio delle redini e del morso. Immaginate una gran corsa tranquilla e veloce al tempo stesso, accompagnata dal tonfo leggero di grandi zampe dai polpastrelli di velluto. Invece del colore bruno, grigio o nero del cavallo, immaginate di avere sotto di voi una pelliccia dorata e di vedere la gran criniera che ondeggia al vento. E naturalmente, la corsa sarà almeno due volte più rapida che sul più rapido destriero.