Aslan correva e correva, senza esitare e senza stancarsi.
Andava e andava, passando sicuro fra i tronchi d’albero, penetrava nel cuore della foresta, balzava sui grossi cespugli, oltre le siepi di rovo, guadava i torrenti e nuotando agilmente attraversava i fiumi più profondi. Immaginate di andarvene così, non per le strade di campagna, nei viali del parco o tra le dune della spiaggia, ma nel meraviglioso paese di Narnia, in primavera. Aslan percorreva viali di faggi altissimi, boschi di querce frondose, prati fioriti e filari di ciliegi in boccio, candidi come la neve; passava vicino a cascate ruggenti e a rocce muschiose, sfiorava caverne piene d’echi e di tenebre; su per scoscesi pendii battuti dal vento, giù per discese coperte di ginestre spinose; sul cocuzzolo di colline incappucciate d’erica, sulla vetta di monti altissimi; giù giù a precipizio nelle gole profonde e di nuovo nelle valli che si stendevano per chilometri e chilometri, trapunte di fiori azzurri.
Era già quasi mezzogiorno quando arrivarono sulla cima di una collina molto ripida: davanti a loro, in fondo alla valle, si ergeva un castello che sembrava piccolo come un giocattolo, fatto di sole torri puntute. Il leone correva così veloce che Susan e Lucy si trovarono di fronte al castello prima ancora di avere il tempo di chiedere a chi appartenesse. Adesso non sembrava più un giocattolo, ma un edificio sinistro, coronato di torri minacciose. Sui bastioni merlati non si vedeva anima viva, neppure una sentinella. Il grande cancello appariva ben chiuso, ma non per questo Aslan rallentò l’andatura.
— Il castello della strega — gridò. — Tenetevi ben salde, bambine mie.
Un attimo dopo il mondo sembrò capovolgersi, Lucy e Susan si sentirono il cuore in gola: Aslan si era improvvisamente ritirato in se stesso, poi era scattato in aria per compiere il più gran salto che sia mai stato fatto (ma sarebbe più giusto chiamarlo un volo). Così superarono, d’un balzo, le mura di cinta del castello. Le due sorelline rotolarono dalla groppa di Aslan, sane e salve, nel bel mezzo di un grande cortile pieno di statue.
16
Cosa accadde alle statue
— Che posto straordinario — esclamò Lucy. — Sembra di essere in un museo, con tutte queste statue.
— Ssst! — la zittì Susan. — Guarda cosa sta facendo Aslan.
Aslan, infatti, faceva qualcosa di strano. Si era avvicinato al leone di pietra e gli soffiava addosso. Poi continuò in queste stranezze: si girò di scatto, proprio come un gattino che gioca con la coda, e soffiò sul nano di pietra che dava le spalle al leone (ricordate?); quindi si spostò di fianco e soffiò su una driade, poi su un coniglietto e su due centauri più a destra. Fu in quel momento che Lucy gridò: — Susan, Susan, guarda il leone!
Immagino che vi sarà capitato di vedere qualcuno che accende il fuoco mettendo un foglio di giornale sotto un mucchietto di ramoscelli secchi e accostando un fiammifero acceso: per qualche istante non succede niente, finché una sottile striscia di fuoco serpeggia lungo il giornale e dopo qualche secondo il falò scoppietta allegramente. Ebbene, accadde qualcosa del genere.
Quando Aslan aveva soffiato sul leone non era successo niente, l’animale di pietra era quello di sempre. Poi era apparsa una striscia dorata lungo il dorso e ben presto si era allargata e allungata, guizzando sul corpo di pietra come la fiamma sul giornale. La parte posteriore del leone era ancora rigida e lui già scuoteva la criniera. Le pesanti ciocche rapprese nella pietra si sciolsero, diventarono morbide e fluenti: vive. Il leone aprì la bocca, fece un potentissimo sbadiglio, alzò una zampa e, dato che il corpo era tornato completamente alla vita, si diede una bella grattatina. Poi vide Aslan, lo raggiunse di corsa e si mise a saltellargli intorno come un cucciolo, uggiolando di felicità e tentando di leccargli il muso.
Susan e Lucy seguivano la scena con gli occhi sbarrati per la sorpresa, ma intorno a loro si succedevano tali e tante meraviglie che dimenticarono il leone e guardarono altrove.
Il grande cortile non somigliava più a un museo, ma a uno zoo: il gelido biancore delle statue si era trasformato in una festa di colori tra i quali spiccava il bruno dorato dei gropponi dei centauri, il corno color indaco degli unicorni, il rossiccio delle volpi, il mantello pezzato dei cani e il piumaggio variopinto degli uccelli. C’erano i nani con il cappuccio cremisi e le calze gialle, le ninfe che abitano gli alberi avvolte in freschi veli trasparenti: argentei come il tronco delle betulle, verde chiaro come le foghe dei faggi e quasi gialli come le gemme dei larici.
Le creature ridenti circondavano Aslan e gli danzavano intorno, nascondendolo agli occhi di Lucy e Susan. Il cortile, già invaso dal mortale silenzio delle statue, ora echeggiava di ruggiti e latrati festosi, di nitriti e abbaiamenti, squittii e cinguettii; e scalpitar di zoccoli, grida di gioia, risate e canzoni.
— Lucy, guarda — esclamò a gran voce Susan.
Lucy guardò dalla parte che la sorella indicava e vide Aslan soffiare sui piedi di un gigante grande come una casa.
— Va bene così — gridò Aslan gioiosamente. — Quando sono a posto i piedi, il resto viene da sé.
— Non è di questo che dubitavo — mormorò Susan.
Già il gigante si risvegliava, muoveva i piedi, le gambe e il braccio che reggeva un’enorme clava; infine si portò una mano al viso e disse, stropicciandosi gli occhi: — Santo cielo, devo aver dormito un bel po’. Ma dove è andata a ficcarsi l’orribile piccola strega che mi stava tra i piedi? Non può essere lontana: dev’essere da queste parti.
Qualcuno si prese la briga di spiegargli cos’era accaduto, ma il gigante era un po’ sordo: perciò dovettero gridargli tutto da capo. Lui si mise la mano all’orecchio e infine capì. Allora cominciò a toccarsi il berretto in segno di saluto, a fare grandi inchini verso Aslan, con la faccia raggiante di riconoscenza (oggi i giganti sono diventati rari, soprattutto quelli molto buoni: scommetto che non ne avete mai visto uno con la faccia raggiante; be’, vi assicuro che è uno spettacolo che vale la pena).
— E adesso tutti nel castello — ordinò a un certo momento Aslan. — Non sappiamo quanti prigionieri ci siano là dentro. Bisognerà frugare dappertutto, anche nella camera della padrona di casa.
Si lanciarono tutti dietro ad Aslan nell’orribile, tetro castello dove le stanze erano sempre buie e sapevano di chiuso. Ci fu subito un gran rumore di finestre spalancate e frasi come «Dammi una mano con questa porta», oppure «Non dimenticate le cantine e le soffitte» e anche «Che odore di muffa, qui dentro!» E poi «Vieni per di qua, c’è un’altra scala a chiocciola» e ancora «Sta’ attento a quella botola, guarda dove porta.»
Poi una voce gridò: — Qui c’è un canguro di pietra, Chiamate il grande Aslan!
— Ne abbiamo bisogno anche qui — gridò un’altra voce. — Ci sono molte statue, su questo pianerottolo.
Ma il momento più bello fu quando Lucy si lanciò su per le scale, urlando: — Aslan, Aslan! Ho trovato il signor Tumnus. Vieni, presto! — Pochi minuti dopo Lucy e il fauno si tenevano per mano, facendo un pazzo girotondo, beati e felici. Il faunetto non aveva sofferto troppo nella sua condizione di statua, era vivacissimo e chiedeva di sapere le ultime novità.
Poi anche la scorribanda nel castello della strega finì. La tetra fortezza era assolutamente vuota, con porte e finestre spalancate perché la luce brillante del sole e la fresca aria primaverile entrassero anche negli angoli più bui, dove ce n’era maggior bisogno.
Il lungo corteo delle statue chiamate in vita da Aslan tornò nel cortile d’ingresso. Fu allora che qualcuno chiese (forse proprio il fauno Tumnus): — Ma come faremo a uscire?
Il cancello, infatti, era ancora chiuso e solo Aslan avrebbe potuto scavalcarlo con un salto, come aveva fatto prima. Allora il leone si avvicinò al gigante, dicendo: — Sistemeremo anche questa faccenda. — Si mise una zampa alla bocca e ruggì: — Ehi, lassù. Come ti chiami?